Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato (cfr. Is 50,4-7)
La Settimana Santa si apre con l’ingresso di Gesù in Gerusalemme e il racconto della sua passione e morte.
Gerusalemme è la città delle contraddizioni, ancora oggi. La bellezza e il disordine. La santità e il tradimento. Il simbolo della Pace e l’oltraggio della violenza. La città celeste, ancora sporca di terra. sono le contraddizionindella storia umana, tra speranza, desideri, fallimenti e incognite. È la mia storia di peccato e continuo pentimento. Alla ricerca di una felicità che sembra sempre troppo distante. Nella cura di desideri che si confondono con la rassegnazione. Nella speranza di un Amore, che sembra ferire invece di guarire. La contraddizione di un popolo, la Chiesa, che pubblicamente accoglie festosamente Gesù con gli “Osanna”, ma nella notte uccide la sua Parola con un “Crocifiggilo!”. E Gesù decide di entrare in questa storia, di attraversare la storia e di sporcarsi le mani con la mia vita.
Lo fa rivelandoci il volto del Padre. Che essendo Dio, si svuota di ogni potere per farsi totalmente dono. Perché è la sua natura stessa di Amore, Amante e Amato.
Passa, nel cenacolo, lasciandoci il comandamento del servizio, poiché una vita non donata nell’amore non sarà mai felice. Né desiderabile.
Passa, nel Getzemani, rivelandoci il primato della preghiera, cioè della relazione filiale e tenera col Padre, come luogo di autentica liberazione nell’obbedienza alla Parola.
Passa, attraverso il tradimento subìto, indicandoci la necessità del perdono. Della riconciliazione con se stessi, con gli altri e con Dio. Della limpidezza di ogni relazione.
Passa, carico della Croce, chiedendoci la fatica della coerenza e la responsabilità della testimonianza, anche quando costa molto. O tutto.
Passa nella tenebra della notte, per seminare la Speranza che conduce oltre il sepolcro.
Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso (cfr. Is 50,4-7).