Cominciano a diventare una piacevole sorpresa gli sms della notte. Mi hai scritto:
Certi giorni mi torna in mente una canzone che fa “e come un uomo cerca Dio, e non lo trova e più impazzisce…”. Io lo cerco tanto in questi giorni, non proprio lui ma qualcosa di simile, una qualche speranza di eternità. Qui è tutto così precario… Da giorni mi sveglio sempre allo stesso modo, con un vuoto e una mancanza che non so riempire, con un futuro di nuovo rimesso in discussione, che ora è solo un quadro buio. Per questo ti dicevo che una certezza come la tua è grande e impagabile. Sei davvero fortunato.
Londra brucia dei Negramaro, è la canzone a cui ti riferisci? Come brucia ogni cuore nel desiderio di sperimentare la pienezza di vita, che è per alcuni speranza, per altri nostalgia, oppure illusione e bestemmia.
Questo ardere sant’Agostino lo sintetizza nel sublime: fecisti nos ad te et inquietum est cor nostrum, donec requiescat in te (Dio ci ha fatti per Lui, e il nostro cuore è inquieto finché non trova quiete in Lui).
Davvero “qui è tutto così precario” e inquieto. E provvidenzialmente questi anni ce lo stanno ricordando. A noi amanti del posto fisso, anziché inseguitori di sogni. Poco propensi alle scelte definitive, poiché malati di relativismo e rattrappiti nella libertà. Pronti a credere a chiunque e a qualsiasi cosa, piuttosto che dare fiducia a noi stessi e alle persone che ci sono accanto. Persi nelle logiche imperfette che intendono raccontare il mondo, di cui ci sentiamo più comparse che protagonisti.
Il tempo è effimero, diceva Qoelet. Ricordati che devi morire, i predicatori medievali. Oggi: lavoro precario, insicurezza di affetti e imprevedibile residenze, ci richiamano alla questione disarmante: non basto a me stesso, non posso essere felice da solo, non credo in un amore umanamente accettabile.
Sono fortunato? Certamente. Ma non perché ho risolto il dramma della precarietà. Poiché tutto ogni giorno deve essere rimesso in discussione, affinché sia viva la passione e io, nuovo, ogni giorno.
Fortunato perché ho incontrato lo sguardo eterno di Dio, che, inaudito, non mi aspettava in paradiso. Mi ha raggiunto. Mi ha abbracciato dentro il deserto di questa terra di limite e peccati. Non ha aspettato che mi purificassi e non ha desiderato che diventassi migliore. Si è fatto carico di me, così come ero e dove mi trovavo, sporcandosi le mani col mio sudore, le lacrime, il sangue. E assumendo la mia stessa fame, paura, debolezza, povertà.
Sai, ne ho incontrati molti a pretendere che fossi migliore o comunque diverso. Solo Gesù mi ha amato senza condizioni e definitivamente.
Sono convinto che tu questo incontro tu lo abbia già fatto. Altrimenti non avresti il cuore inquieto. Perché l’incontro con il Signore dona pace, e poi non lascia mai tranquilli.
Intanto ti ringrazio, perché hai buttato giù le carte e mi hai guardato negli occhi, attraverso le tue lenti scure.