La Chiesa debole e peccatrice, che sono io

La Chiesa debole e peccatrice, che sono io

Prima i complotti, poi i retroscena, infine le quotazioni dei “papabili”. Insomma, non sei abituato ancora alla sede vacante, e subito sei proiettato nel teatrino delle analisi tristi e delle fantasiose ipotesi. Come se il proverbio fosse diventato questo: dimesso un papa si farnetica dell’altro. Del resto ognuno fa il suo mestiere. E anche noi credenti, ci mettiamo del nostro, quando ci diamo alla conversazione invece di impegnarci nella conversione.

Ho pensato a questo quando mi hanno chiesto di scrivere qualcosa sulle questioni che i Cardinali dovrebbero affrontare nelle Congregazioni generali per arrivare preparati al Conclave. Poi ho chiesto un po’ in giro. Soprattutto a quelli che incontro su twitter.

Mi hanno detto che la Chiesa oggi ha bisogno di una serena riflessione sulla questioni che riguardano la sfera dell’affettività e della sessualità, compresa la ferita della pedofilia. Il rapporto tra potere e servizio. Un sano uso del denaro e una gestione economica dei beni secondo giustizia e verità. Insomma la questione del vivere nel mondo, pur non appartenendo al mondo. La coerenza tra vangelo e vita. La credibilità anche sul piano sociale. Questioni continuamente richiamate anche dalla stampa e da chi non appartiene alla comunità ecclesiale. A volte procedendo per luoghi comuni. Spesso in mala fede.

Poi la necessità avvertita di un attento e rinnovato discernimento dei “segni dei tempi”, affinché “in modo adatto a ciascuna generazione, [la Chiesa] possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche” (Gaudium et spes, 4). E la conseguente capacità di parlare al cuore e alla vita degli uomini e delle donne del nostro tempo. Non adattamento al mondo, ma attenzione a ogni persona, per rendere il Vangelo comprensibile e attraente. Per proporre una vita cristiana possibile e desiderabile. Per essere luogo accogliente verso tutti, ma senza cadere nella trappola del relativismo.

Poi un’amica lontana dai nostri ambienti e dalle nostre logiche, mi ha scaricato addosso una serie di domande. Erano le sue innanzitutto, prima che quelle che avrebbe voluto risolte dai Padri Cardinali: perché siete credenti? Per acquietare la coscienza, per consolare i poveri, per convenienza, per apparenza, per rassegnazione, per stanchezza, per opportunismo? Insomma la questione della fede.

A questa mia amica, agnostica e anti-bigotta (si definisce lei), non farà piacere sapere che si tratta della medesima questione che ci ha consegnato Benedetto XVI in questo anno della fede:

Non possiamo accettare che il sale diventi insipido e la luce sia tenuta nascosta. Anche l’uomo di oggi può sentire di nuovo il bisogno di recarsi come la samaritana al pozzo per ascoltare Gesù, che invita a credere in Lui e ad attingere alla sua sorgente, zampillante di acqua viva. Dobbiamo ritrovare il gusto di nutrirci della Parola di Dio, trasmessa dalla Chiesa in modo fedele, e del Pane della vita, offerti a sostegno di quanti sono suoi discepoli.

Mi piacerebbe, allora, che sia questa la preoccupazione essenziale dei nostri Pastori. Prima degli assetti, della organizzazione, degli equilibri, delle diverse teologie. La fede, come dono e responsabilità di tutto il popolo di Dio. Di tutti i battezzati. Cioè, santi profeti coraggiosi e felici. Capaci di abbandonare i lidi sicuri del potere e della consuetudine verso ogni luogo indicato da Dio. Capaci di guardare il mondo con gli occhi del Signore. Capaci di gesti eloquenti e parole nuove, come i gesti e le parole di Gesù.

Questo desiderio vorrei affidare allo Spirito Santo e sempre un po’ birichino, che consegna l’eucaristia a mani deboli, ferite dal peccato e povere di fede. Che nasconde il lievito del Vangelo nella pasta sporca della storia. Che affida i nuovi cieli a occhi miopi nel riconoscere la speranza. E la terra nuova a cuori tachicardici nei palpiti di carità.

Mi piace una Chiesa ferita e santificata dalla presenza del Signore Gesù, cosciente dei propri limiti e capace di eternità. Come ricordava Benedetto XVI, nell’ultima udienza generale:

il Signore ci ha donato tanti giorni di sole e di brezza leggera, giorni in cui la pesca è stata abbondante; vi sono stati anche momenti in cui le acque erano agitate ed il vento contrario, come in tutta la storia della Chiesa, e il Signore sembrava dormire. Ma ho sempre saputo che in quella barca c’è il Signore e ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua. E il Signore non la lascia affondare; è Lui che la conduce, certamente anche attraverso gli uomini che ha scelto, perché così ha voluto. Questa è stata ed è una certezza, che nulla può offuscare.

In questi giorni a nessuno dei credenti manchi questa consapevolezza di fragilità e Grazia, di peccato e Misericordia. E neppure sorga la presunzione di una conversione che non ci riguarda tutti o un auspicato rinnovamento che non parta dalla nostra vita e dalle scelte concrete.

A chi vien voglia di stare solo a guardare o di andarsene pronunciando sentenze inutili, ricordo le parole intense di Carlo Carretto:

Comprendo sempre meglio che avere fondato la Chiesa sulla tomba di un traditore, di un uomo che si spaventa per le chiacchiere di una serva, era un avvertimento continuo per mantenere ognuno di noi nella umiltà e nella coscienza della propria fragilità.
No, non vado fuori di questa Chiesa fondata su una roccia così debole, perché ne fonderei un’altra su una pietra ancora più debole che sono io.

 

 

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