Quale novità?

Quale novità?

Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio. Come sta scritto nel profeta Isaìa: «Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via. Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri», vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo» (Marco 1,1-8).

Il tempo dell’Avvento, richiama all’attesa e alla vigilanza. Ma cosa attendiamo per la nostra vita? Per cosa vale la pena di essere attenti e pronti? Di cosa abbiamo bisogno per essere felici?

L’evangelista sintetizza così la predicazione del Battista: «Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via. Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri». In realtà si tratta di una sapiente fusione di tre citazioni tratte da Isaia, appunto, e poi dal profeta Malachia e dal libro dell’Esodo. In due righe troviamo tre temi ricorrenti: la giustizia, la libertà, il cammino.

Giovanni che battezzava nel deserto è una Voce. Una Voce che grida i suoi desideri: desideri di giustizia e di libertà, e la necessità che il suo camminare nel deserto della storia abbia un senso, e non vagabondaggio inutile.

Allora cosa desidero? La giustizia. Non la giustizia umana, sempre imperfetta, ma una giustizia qualitativamente nuova, e capace di colmare l’abisso tra me e Dio, tra la mia vita e il suo senso, ma anche tra l’ideale e il reale, tra i progetti e la loro realizzazione, tra quello che sono e chi vorrei diventare. Questa è la sproporzione ingiusta che desidero colmare. Presto. Subito.

E poi attendo la liberazione. Non di fare quello che mi pare ma di essere pienamente me stesso, di realizzare la mia identità. Non la soddisfazione di ogni capriccio ma la possibilità di dare pienezza ai giorni. Non l’arbitrio di decidere come e quando voglio, ma l’arte di rintracciare nel quotidiano i segni di verità, di bontà e di bellezza. Non l’eliminazione di ogni vincolo, legame e dipendenza, ma la lucidità per conservare quelle che mi aiutano ma crescere.

E desidero che questo desiderio di giustizia e di liberazione sia il senso del mio camminare, e abbia una risposta certa.

Giovanni che battezzava nel deserto dice, come una Voce, che verrà un tale che può realizzare i suoi e i miei desideri. I desideri di ogni uomo e di ogni donna. Uno che viene a riempire i vuoti e a raddrizzare le strade tortuose. E non lo dice con le parole, ma con tutta la sua vita.

Vivere nel deserto dice la disponibilità ad intraprendere un cammino fino in fondo. Il suo look originale (vestito di peli di cammello) e la sua insolita dieta (cavallette e miele selvatico) dicono una totale novità e una logica sorprendente a cui affidare la propria vita. Il suo battezzare dice che è necessario cambiare mentalità: parole nuove cioè comprensibili, occhi nuovi cioè limpidi, gesti nuovi cioè coerenti, orecchi nuovi cioè disposti all’ascolto.

La prima riga del vangelo secondo Marco: “Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio”. Ci annuncia che la risposta di Dio a queste nostre domande di Vita piena, di felicità, è un “principio”, una creazione nuova, che si fa conoscere e toccare e sperimentare attraverso la persona di Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio.

Come vorrei incontrare questa novità che risponde ai miei desideri profondi e veri. Come vorrei che la mia vita sia un atto coerente di amore, come quello di Giovanni, che battezzava nel deserto.

Chi è questa novità?

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