All’alba del primo giorno della Creazione nuova, all’alba del primo giorno della libertà ritrovata, all’alba del primo giorno dei tempi attesi da tutti i profeti, all’alba del primo giorno del tempo nuovo ed eterno che il Signore è venuto ad inaugurare, alcune donne vanno a visitare una tomba.
Viste le premesse storiche e le promesse escatologiche sembra un gesto davvero inadeguato. Mentre esplode il compimento della storia, alcune donne non trovano meglio da fare che cercar di entrare dentro una tomba: quanto di più vecchio, scontato e tenebroso si possa immaginare. All’alba di quel primo giorno.
Eppure la loro inadeguatezza sembra più leggera. La loro colpa meno grave. Non solo perché altri, gli uomini, non hanno neppure il coraggio di mettere il naso fuori dalla porta di casa, ma soprattutto perché noi non riusciamo a compiere un’azione migliore. Anche noi. Quando la Parola di Dio, che crea e salva, ci interpella e ci rivela l’alba di un primo giorno totalmente nuovo, cioè una possibilità di vita piena e vera, non facciamo altro che cercare rifugio dentro un sepolcro. Meglio al buio, che rischiare di rimanere accecati dalla luce. Meglio immobili che trovare il coraggio di percorrere strade sconosciute. Meglio dormire che fidarsi. Così alla proposta di una vita bella, nuova, gioiosa, santa opponiamo il sepolcro delle nostre abitudini, delle comodità, delle idee, delle ambiguità, delle giustificazioni. Il buio del definitivo.
Insomma non attendiamo un tempo nuovo, una creazione rinnovata, una vita eterna; desideriamo tempo, creazione e vita, secondo i nostri gusti. Secondo noi, non secondo il progetto provvidente di Dio. Effettivamente quando immagino il mio bene penso a ciò che è sepolto nei miei desideri, piuttosto che a una storia abitata definitivamente da Dio.
Allora è davvero necessario un grande terremoto. E qualcuno che ci faccia uscire allo scoperto, rotolando via la pietra che ci impedisce di essere vivi. Abbiamo bisogno di tutta la luce di questa notte Santa, che ci raggiunga come una folgore, che metta in luce anche la nostra paura di essere coinvolti dalla Risurrezione di Gesù.
Egli non ha bisogno delle nostre lacrime, di baci e carezze. Egli non ha bisogno della nostra pietà. Scriveva don Primo Mazzolari: «I morti hanno bisogno di pietà: il vivente ha bisogno di audacia».
L’angelo disse alle donne: «Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto».
Allora risorgere significa finalmente USCIRE! Fuori dal sepolcro, ma anche fuori da noi stessi. Fuori da ogni schema e abitudine. Fuori dalle mura che abbiamo alzato con l’illusione di difenderci. Mi piace pensare anche a una Chiesa capace di uscire da se stessa, per essere accanto al suo Signore: dove egli sta, e non dove per convenzione dovrebbe essere. Mi piace pensare anche a tanti credenti e non credenti, capaci di uscire dai pregiudizi e dalla pretesa di contemplare una Chiesa senza macchia e senza peccato: che non esiste.
Tutti siamo chiamati ad abitare questa storia, e non un’altra. Ma non da rassegnati. Infatti l’angelo annuncia: Presto, andate a dire ai suoi discepoli: “È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete”».
Infatti celebrare la Pasqua è anche desiderare di andare OLTRE ciò che appare, oltre le circostanze e le previsioni, oltre i propri desideri e capricci, oltre il peccato e il limite, oltre ogni morte, per vedere Gesù e vivere nella sua amicizia. La morte ci ha insegnato che tutto finisce, che tutto è dentro un limite. Gesù Risorto invece ci insegna a cantare l’alleluia della speranza e dell’eternità. Cioè ad abitare la storia senza negare la realtà, ma anche senza tradire la speranza e la profezia a cui siamo chiamati. Perché egli, il Risorto, ci precede.
Dove ci precede? Scrive ancora don Primo Mazzolari:
«Dappertutto. in Galilea e sul monte, nel Cenacolo e lungo la strada di Emmaus, sul mare e nei deserti, ovunque l’uomo pianta la sua tenda, spezza il suo pane, costruisce le sue città, piangendo e cantando, sospirando e imprecando. “Egli vi precede”. Ecco la consegna di questa Pasqua. Se alzandoci dalla tavola eucaristica avremo l’animo disposto a seguirlo ovunque, “ovunque lo vedremo, come egli ha detto”»