Osea è un giovane ventenne, che si innamora di una prostituta.
Tra tutte le belle ragazze che frequentavano il regno del Nord, si innamora proprio di una prostituta. E attraverso questo amore “sbagliato” rivela cosa prova Dio per l’umanità. Attraverso una relazione coniugale inopportuna e infedele, Dio rivolge a noi la sua Parola.
Osea è un giovane, che riceve una missione profetica. Il profeta aveva vari compiti. O meglio, se ne attribuiva molti: consigliare i potenti, consolare i poveretti, decifrare la storia, intuire i cambiamenti, proporre strade da percorrere. Una specie di tuttologo tutto fare. Ma a Dio stava a cuore una cosa soltanto. Che il profeta mostrasse Dio, attraverso la propria vita.
Ci siamo dimenticati che Dio parla dentro la vita, sfruttando la cassa di risonanza della realtà. Un po’ distratti da idee e dottrine. Abbiamo dimenticato che Dio parla dentro alla storia, usando i «segni dei tempi», cioè senza linguaggi tecnici e senza l’ausilio di operatori specializzati.
Osea svolge la sua missione di profeta per conto di Dio per circa venticinque anni. Più o meno, tra il 755 e il 724 a.C.. Un’epoca lontana, ma non molto differente dalla nostra.
Osea abita in una regione remota della terra, che oggi chiamiamo «Israele». Anche allora quella terra non trovava pace ed era divisa. A Nord, sulla Samaria, regnava Geroboamo II. A Sud, sulla Giudea, regnava Uzzia. Erano tempi relativamente calmi e pacifici. La gente stava bene e viveva nella prosperità. O almeno, stava bene la gente che contava.
C’erano anche allora locali esclusivi che ospitavano feste sontuose, durante le quali si mangiavano cibi pregiati, si bevevano vini costosi, si ascoltava buona musica, si sfoggiavano vesti eccentriche e ci si coccolava con trattamenti estetici raffinati. Ma poco ci si curava del bene comune.
Il valore di riferimento sembrava essere l’eccentrico, l’eccesso, il trasgressivo. Alle volte, il ridicolo.
L’economia dettava le sue leggi, il commercio era lo stile, la crescita sempre considerata progresso. Il denaro circolava, ma non si fermava in tutte le tasche. Quelli che erano riusciti a raggiungere una buona posizione economica e sociale, non si curavano dei meno abbienti.
La maggior parte aveva una casa per l’inverno e un’altra per l’estate. Le vacanze erano diventate ormai una necessità. Quasi un diritto.
Erano lontani i tempi del sacrificio e del risparmio. Tutto e subito, bisognava avere e spendere. Dimenticando il sacrificio dei padri, i poveri sembravano non aver diritto di cittadinanza alcuna. I poveri erano merce di scambio.
Anche dal punto di vista religioso le cose sembravano andar bene. I luoghi di culto erano molto frequentati. Si rispettavano con grande devozione le feste comandate. Ma senza verità. Cerimonie, offerte, preghiere, riti propiziatori. Ma senza fede. Una religione formale, per tenere a posto la coscienza, buona la reputazione e Dio il più lontano possibile.
Ma tutto questo benessere era soltanto la superficie di un mare in bonaccia, che la nave va attraversando veloce e diritta. Verso gli scogli, ancora invisibili.
E sarebbe arrivata anche la tempesta. Convinti di essere la migliore nazione del mondo, Israele avrebbe perso del tutto la sua sicurezza. I grandi imperi avrebbero cominciato a premere sui patri confini, fino all’inesorabile distruzione. Fino a risucchiare certezze, supremazie, diritti acquisiti, privilegi. E illusioni.
«Come avvenne nei giorni di Noè… mangiavano, bevevano, prendevano moglie, prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca e venne il diluvio e li fece morire tutti. Come avvenne anche nei giorni di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano; ma, nel giorno in cui Lot uscì da Sòdoma, piovve fuoco e zolfo dal cielo e li fece morire tutti» (Lc 17, 26-29).
La sciagura dell’umanità non è mai stata la punizione di Dio, ma la distrazione. Non a caso l’idea biblica del peccato ruota attorno all’immagine di un arciere che manca il bersaglio. Un’idea fissa, che ti distoglie dalla realtà. Un rumore assordante, che ti disturba. Un’apparenza che non ti fa vedere la felicità.
Gli errori peggiori della mia vita non li ho commessi per cattiveria, ma per distrazione. Come quella mattina che camminavo spensierato e convinto che niente e nessuno al mondo mi avrebbe fermato, finché realizzai, che, soprappensiero, mi era sfuggita una deviazione necessaria. Mi ero perso, come tante volte, per distrazione.
«Parola del Signore rivolta a Osea, figlio di Beerì, al tempo di Ozia, di Iotam, di Acaz, di Ezechia, re di Giuda, e al tempo di Geroboamo, figlio di Ioas, re d’Israele» (Osea 1,1).
E capita di distrarmi, dimenticando che Dio parli dentro la mia vita. E capita di distrarmi, dimenticando che Dio parli dentro la storia. E capita di mancare il bersaglio, di perdermi, di rovinarmi, finché Dio, in qualche modo, viene a salvarmi. Con una parola, un segnale, una carezza.
Osea è un giovane, che usa immagini inedite e metafore potenti per parlare di Dio. In un tempo di calma effimera e apparente prosperità, abitato da gente distratta.
Osea significa “Dio ha aiutato”. Quando Dio vuole salvare il mondo dalla tempesta inevitabile, sceglie un giovane ventenne, che vuole sposare una prostituta. Un giovane profeta con poca devozione e molta fantasia.