Il povero parroco e la Chiesa nella tempesta

Il povero parroco e la Chiesa nella tempesta

L’Italia è un paese cattolico. Lo sanno tutti. Nonostante tutto. Ce lo ricorda anche il recente rapporto del Censis su “Italiani, fede e Chiesa”. L’Italia è un paese ancora orgogliosamente cristiano cattolico, ma più in teoria che nella pratica. Anzi, più che cristiano cattolico, pare cristiano confuso. E illuso.

Immaginiamo un paesello di 5’000 anime, ancora ben avvinghiate ai rispettivi corpi. Soltanto 3’555, tra uomini e donne, si dichiarano cattolici. Il parroco potrebbe stare ugualmente sereno. E invece, no.

Quel povero parroco del paesello di 5’000 abitanti, di cui 3’555 cattolici, la domenica in chiesa ne vede soltanto 533. E piuttosto anzianotti, stando al rapporto del Censis.

Saltuariamente, arriva a vederne al massimo 1'777 nelle grandi occasioni, poiché 1'244 dei 5'000, ogni tanto, ci vanno. Al contrario, dei 747, che si dichiarano “cattolici non praticanti”.

Dei 5’000 abitanti, il povero parroco ne vede in parrocchia abitualmente 533. Gli altri 4’467 non li vede mai o quasi mai. Non ne vede mai 2’192,   

Eppure, racconta con soddisfazione a tutti che, dopo 12 anni vissuti in quel paesello, ormai li conosce tutti, i suoi parrocchiani, fingendosi il capitano di una nave che ormeggia in acque sicure. Ma, nella realtà, 2’192 non li ha mai visti.

Il povero parroco non sa che, tra i praticanti, quasi la metà non si riconosce nella Chiesa, per un motivo o per un altro. La metà dei praticanti si sentono più ospiti o sudditi, invece che figli e figlie.

E neppure sa che quasi tutti ritengono che il cristianesimo sia stata la base culturale della propria formazione. Anche i non credenti. Ma per la maggior parte è solo una questione di identità nazionale, di abitudine o di norme di comportamento. Di nostalgie, rimpianti e romanticherie. Tutto, tranne che per aver incontrato Gesù e il suo vangelo.

In verità, quasi mezzo villaggio ritiene che gli insegnamenti di Gesù siano un patrimonio prezioso, ma pochissimi se ne lasciano ispirare nelle decisioni e nelle relazioni quotidiane.

Il povero parroco non sa che solo 213 dei suoi 3555 fedeli, praticanti e no, leggono la Bibbia. Tra quei 533, che vanno a messa tutte le domeniche, solo 59 fanno riferimento alle Scritture, durante la settimana.

La stragrande maggioranza, quasi la totalità di quelli che si dichiarano cristiani o parlano di cristianesimo non ha alcuna dimestichezza con le Scritture. La maggior parte non sa cosa farsene della Bibbia.

Pregano, anche i non praticanti e addirittura i non credenti, mossi da qualche emozione o dalla paura. Raramente dalla fede. Pregano da soli, fuori dalla comunità. Pregano così, a casaccio. Dei 533 assidui frequentatori, solo 48 dichiarano di pregare all’interno di un rito, come può essere l’eucaristia domenicale.

Molti non credono neppure in una vita oltre la morte, tra quelli che a messa professano la fede «nella risurrezione della carne e nella vita del mondo che verrà». Non ci credono 64 di quei 533.

Ma tutto questo il povero parroco ancora non lo sa.

Egli inventa, di tanto in tanto, qualche stratagemma per attirare questi e quelli, senza vederne rimanere alcuno. «Prima o poi torneranno», pensa nelle sue meditazioni mattutine. «Torneranno, se Dio vuole». Per il funerale.

Così nell’anno del Signore 2024 in Italia abbiamo ancora tanto cattolicesimo, ma anche tanta confusione. Tanta devozione, ma poca fede. Tante preghiere dette e poca Parola accolta. Tanta identità e poca carità. Tanti ex chierichetti, ex catechiste, ex coristi, ma pochissimi cristiani adulti.

Il povero parroco non si rende conto o ha semplicemente paura di confrontarsi con la realtà e si rifugia nelle sue retoriche sicurezze, cercando di non perdersi nella notte e di non soccombere nella tempesta, inefficacemente.

Bisognerebbe guardarla bene la realtà e farci coraggiosamente i conti, abbandonando quel “si è fatto sempre così” e ogni altra presuntuosa immaginazione, «come il naufrago, se vuole afferrar la tavola che può condurlo in salvo sulla riva, deve pur allargare il pugno, e abbandonar l’alghe, che aveva prese, per una rabbia d’istinto».

(continua...)

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