A cura delle monache clarisse del Monastero “Santa Speranza” di San Benedetto del Tronto
Potremmo porre questa domenica all’insegna di un grande simbolo biblico, quello dell’ “epifania”, cioè della manifestazione-rivelazione gloriosa di Dio all’interno della storia umana.
La prima epifania che la liturgia ci fa incontrare è tratta dal racconto della Genesi. Dio porta Abramo in disparte e gli fa una promessa: la sua discendenza sarà numerosa come le stelle del cielo e abiterà la terra di Canaan. Abramo, esempio di una fede pura e senza incrinature, sembra però ora dubitare: “Signore Dio, come potrò sapere che ne avrò il possesso?” Esige una prova, una verifica e, la cosa paradossale, è che il Signore considera pienamente legittima questa richiesta e si affretta ad impegnarsi solennemente. Il rito ordinato da Dio ad Abramo è un rito arcaico definito di giuramento o di alleanza. Gli animali divisi, attraverso i quali passano i contraenti di un patto, hanno funzione simbolica. In pratica gli stipulatori dell’alleanza si augurano la stessa cosa di quegli animali qualora in futuro si trasgredisse il patto. E’ curioso che in ebraico “stipulare un patto” si dica “Krt berit” che letteralmente significa “tagliare un patto”. Il rito si svolge in un’atmosfera notturna mentre sul patriarca sta per scendere il velo del torpore, segnato però dai brividi del terrore. La visione notturna è segno di rivelazione divina e il terrore è ciò che accompagna solitamente una teofania, cioè una manifestazione del Signore. Nella visione di Abramo l’elemento sorprendente è tutto nel simbolo centrale, quello del fuoco che passa nel mezzo degli animali squartati; il fuoco è per eccellenza il simbolo di Dio. E’ solo Dio, sotto il segno del braciere e della fiaccola, a passare in mezzo agli animali. E’ Dio ad impegnarsi in un giuramento solenne nei confronti dell’uomo. L’impegno è contratto in forma unilaterale da Lui. L’alleanza è un dono che nasce dalla libera e gratuita iniziativa di Dio e non verrà mai meno perché ad impegnarsi veramente non è l’uomo fragile e instabile, ma Dio, il fedele per eccellenza.
Sulla scia di questa visione passiamo alla seconda epifania raccontataci nel Vangelo di Luca e che ha per protagonista Gesù di Nazareth giunto a metà del suo ministero pubblico. Sul monte Tabor Gesù è trasfigurato davanti a Pietro, Giacomo e Giovanni. Anche in questo brano incontriamo alcuni ingredienti narrativi caratteristici: il monte, la veste sfolgorante, Elia e Mosè. Si tratta di un’epifania solenne in cui la luce della divinità avvolge il Cristo verso il quale convergono la profezia e la legge dell’Antico Testamento incarnate appunto da Elia e Mosè. Ma il culmine dell’epifania è nelle parole che Dio indirizza all’umanità: “Questi è il figlio mio, l’eletto!” Appare dunque il mistero che Gesù di Nazareth nasconde sotto i lineamenti di un uomo che cammina per le strade della Palestina, Dio conferma all’uomo che suo figlio è il Messia. Il momento è talmente solenne e bello che i tre apostoli vorrebbero che durasse per sempre: “facciamo tre capanne…”. Essi stanno vivendo con Gesù un momento di pace, di intimità, di spensieratezza, dopo un tempo che iniziava a farsi confuso e difficile da comprendere: Gesù infatti aveva iniziato a parlare della sua passione. Finalmente ora il Maestro sembra voler concedere ai suoi un po’ di riposo proprio a metà del cammino che li stava conducendo a Gerusalemme. Ed è proprio il tempo del riposo, quello che spesso, nelle nostre case, trascorriamo in salotto: luogo in cui ci si rilassa, si parla, si ride, si scherza ci si confida. E’ il luogo in cui, se vogliamo, possiamo raccontarci, conoscerci e svelarci l’un l’altro. E’ il luogo in cui, solitamente trascorriamo la domenica: giorno di tranquillità e di festa. Ma presto arriva il “lunedì” e siamo chiamati ad alzarci dal nostro comodo e confortevole divano per tuffarci di nuovo nella ferialità. Così è accaduto per i tre discepoli: Gesù, apparso splendente di luce, discende dal monte e torna nella piana del quotidiano dove lo attendono sofferenti, peccatori e avversari. Tuttavia il mistero è ormai affiorato agli occhi dei discepoli. Luca è l’unico evangelista a segnalarci il dialogo tra Cristo, Mosè ed Elia: “parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme”. Cristo svelerà pienamente se stesso quando nella sua Pasqua vincerà la morte una volta per sempre.
La terza epifania è quella che si celebra all’interno del credente stesso di cui ci parla Paolo nella lettera ai Cristiani di Filippi. Si legge: “Noi aspettiamo come salvatore il Signore nostro Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso”. E’ la rivelazione del nostro destino ultimo che è pasquale come quello di Cristo: l’unica meta del cristiano è il regno dei cieli.