La Parola di Dio di questa prima domenica di Quaresima ci propone tre passi biblici legati tra loro da un tema fondamentale, quello della fede professata, che è radice dell’esperienza personale e comunitaria del popolo di Dio. La Quaresima viene inaugurata all’insegna della fede, fondamento dell’esistenza cristiana, porta che si spalanca e ci introduce alla relazione con Dio e, allo stesso tempo, ci apre all’esperienza quotidiana della vita e dei fratelli.
La prima professione di fede è quella dell’antico israelita: al centro della fede ebraica non sta un’idea di Dio ma una storia, una vita, una esistenza concreta nella quale il Signore si è fatto conoscere e si è lasciato incontrare. La vocazione dei patriarchi, aramei erranti, il dono della libertà dopo la pesante esperienza dell’oppressione in Egitto, il dono della terra promessa dove scorrono latte e miele, sono segni eloquenti e concreti di un Dio che non si rivela con apparizioni mistiche o extrasensoriali, che non fa capolino tra le nubi dorate del cielo ma “vive” nella polvere della terra che ogni giorno calpestiamo, nelle ore delle nostre giornate. Credere non è allora un’avventura astratta del pensiero, credere non è evadere, non è estraniarsi o allontanarsi dalla vita ma è un viaggio all’interno della trama speso oscura e fragile della nostra storia.
Dal credo di Israele alla professione di fede che Gesù pronuncia tre volte nei confronti del Padre e del suo progetto di salvezza. La pienezza dello Spirito sospinge Gesù nel deserto, nella solitudine, lontano dai suoi, lontano da tutto il popolo presente sulle rive del fiume Giordano, là dove non ci sono che il padre e Lui.
Essere uomo significa divenire povero, non avere niente con cui farsi forte di fronte a Dio, nessun sostegno, nessuna forza e sicurezza oltre all’impegno e al sacrificio del proprio cuore.
Con il coraggio di tale povertà comincia l’avventura divina della nostra salvezza. Gesù non si è tenuto niente, non si è attaccato a niente e non si difende con niente, nemmeno con la sua origine. Egli non si fece forte della sua divinità ma annientò se stesso. Il diavolo, invece, cerca di impedire tale annichilimento: egli vuole fare Gesù forte perché teme una cosa sola, l’impotenza di Dio nella natura umana che Egli assume.
E’ la tentazione di imporsi agli uomini con potenza e miracoli: Gesù rifiuta questa via a favore di un’altra che nel suo cuore sa essere voluta dal Padre per Lui. Egli rinnova il suo “sì” al Padre! Rifiutare la croce significherebbe salvare la gloria della divinità secondo l’idea che di essa si sono sempre fatti gli uomini; accettare la debolezza, l’umiltà e l’ignominia della croce, invece, significa introdurre nel mondo una novità assoluta su Dio e sul Messia, una novità che, però, deluderà tutte le attese e scandalizzerà. Gesù sceglie la via tracciata dal Padre, orienta la sua vita verso la Pasqua e verso l’obbedienza fino alla morte.
Tu hai fame, dice Satana a Gesù, però presto non avrai più fame; tu puoi far questo con un prodigio. Tu stai vacillando su un pinnacolo sopra un oscuro precipizio; ma presto non proverai più questa vertigine, questa insicurezza, questo pericolo di precipitare nel vuoto: tu ordinerai per te mani di angeli che ti porteranno. Le tentazioni del diavolo a Gesù sono un appello a restare forte come Dio, senza pericolo alcuno, portato dagli angeli, tenendo salda come una preda la sua divinità; sono un appello a non consegnarsi all’abbandono reale, alla precarietà effettiva della natura umana, a tradire il deserto e a svincolarsi dal nostro destino che grida al cielo. Una tentazione che diventa suggestione a tradire l’uomo in nome di Dio e Dio in nome dell’uomo: ma il no di Gesù al tentatore è l’adesione piena e totale a Dio Padre e al suo progetto tracciato nella storia.
La terza professione di fede la troviamo nella Lettera ai Romani: «Gesù è il Signore…Dio lo ha risuscitato dai morti». E’ l’annuncio gioioso della Pasqua da professare con la bocca e con il cuore, cioè con l’adesione totale della coscienza e con quella dell’esistenza e della testimonianza. Bocca e cuore, liturgia e vita non sono separabili: è solo davanti a questa professione globale e non parziale della fede che si apre davanti a noi la salvezza: «Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato».