Balzò in piedi e venne da Gesù

Balzò in piedi e venne da Gesù

La fede nasce da un incontro personale e non da una dottrina

Nella storia di fede di ciascuno c’è uno stacco, un elemento di rottura o, meglio, il riconoscimento di una insperata ma attesa armonia. Uno svelamento e un riconoscimento che esige un abbandono e spinge a un cammino ulteriore . Il decidersi di continuare il pellegrinaggio senza le proprie sicurezze, progetti, idee, aspettative, risorse, pianificazioni e agende. Ed essere finalmente liberi.

Poiché frutto della fede è la libertà, innanzitutto. Anzi la liberazione. Dalle ricchezze e dagli interessi privati, dalle paure, anche liberi nelle relazioni e negli affetti.  Dal legalismo morale e dal formalismo religioso, anche.

«Il regno di Dio viene come dono, ma chiede la nostra libera cooperazione; la buona notizia diventa per noi realtà vissuta, se accogliamo l’appello di Gesù: “Convertitevi e credete al vangelo” (Mc 11,15). Convertirsi significa assumere un nuovo modo di pensare e di agire; comporta anche rinunce, ma dischiude una vita più vera e più bella, di comunicare con Dio e con gli altri» (CCC144).

I primi amici di Gesù lasciano le reti che assicuravano sopravvivenza e le solite cerchie familiari e affettive. Levi si separa dal banchetto del potere e della prosperità. Zaccheo lascia sul sicomoro tutta la sua rispettabilità, arrampicatosi come un ragazzino, e poi la rinuncia a gran parte delle sue ricchezze. La Samaritana getta a terra l’otre, che inizialmente stringeva con fierezza. per attingere al pozzo. Anche Paolo ritiene spazzatura ciò che aveva considerato la sua fierezza. E i martiri, persino il dono estremo dell’effusione del sangue.

Il cieco di Gerico getta a terra il mantello. Per un mendicante, come per gli altri seguaci di Gesù, di ogni luogo e generazione, tutta la vita. Infatti sul mantello si bivaccava di giorno e si raccoglievano le elemosine. Riparo dal sole e sicurezza nel freddo notturno. La Legge (cfr. Dt 24,12) comandava di restituire al povero il mantello ricevuto in pegno entro il tramonto. Insomma, vestito, coperta, materasso e casa. Il mantello, gettato a terra, per balzare in piedi e correre da Gesù.

Cosa spinge a quell’abbandono e a quello slancio? Perché la fede passa di lì. Per quelle rive lacustri, accanto a quel pozzo o a quella casa, sulle medesime strade. «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo: un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo» (Mt 13,44).

Agostino d’Ippona nelle Confessioni racconta di quella prima attrazione:

«Incontrai il vescovo Ambrogio… In quel tempo la sua eloquenza dispensava strenuamente al popolo la sostanza del tuo frumento, la letizia del tuo olio e la sobria ebbrezza del tuo vino. A lui ero guidato inconsapevole da te, per essere da lui guidato consapevole a te. Quell’uomo di Dio mi accolse come un padre e gradì il mio pellegrinaggio proprio come un vescovo. Io pure presi subito ad amarlo, dapprima però non certo come maestro di verità, poiché non avevo nessuna speranza di trovarla dentro la tua Chiesa, bensì come persona che mi mostrava benevolenza».

Da principio solo il riconoscimento di un’accoglienza attraente e una amicizia offerta, e nessun immediato interesse ad alcuna dottrina.

E anche quanto cominciano ad essere assidui gli incontri , l’attenzione non era ancora riposta sui contenuti. «Stavo attento, sospeso alle sue parole, ma non m’interessavo al contenuto, anzi lo disdegnavo». Eppure era impossibile separare l’affabilità e la simpatia dai contenuti annunciati, confessa Agostino. E in un secondo momento il riconoscimento di essere accolto da una persona riconciliata con la storia e portatrice di una speranza possibile. Insomma un maestro accogliente, credibile e felice, poiché testimone a sua volta di un incontro personale col Signore.

Mi chiedo non solo se oggi ci siano uomini e donne spinti a conversione di vita per andare incontro a Gesù. Soprattutto se noi discepoli di oggi, negli incontri informali e nelle nostre comunità, siamo persone amabili, accoglienti e profeticamente provocanti. Oppure se abbiamo bisogno anche noi di qualche doveroso “abbandono” e  “slancio” coraggioso.

«La fede, infatti, cresce quando è vissuta come esperienza di un amore ricevuto e quando viene comunicata come esperienza di grazia e di gioia. Essa rende fecondi, perché allarga il cuore nella speranza e consente di offrire una testimonianza capace di generare: apre, infatti, il cuore e la mente di quanti ascoltano ad accogliere l’invito del Signore di aderire alla sua Parola per diventare suoi discepoli» (Porta fidei, 7).

Nessuno approda alla fede per aver appreso dei contenuti alti da maestri ben preparati, ma per essere stati attratti da esperienze di vita piena e di liberazione. Non attraverso dimostrazioni analitiche di verità astratte, ma dal desiderio di una “vita bella” rintracciabile nel racconto di alcuni compagni di viaggio.

Questa è vocazione e responsabilità di tutti nella Chiesa di oggi, comunità di fedeli, che non intende escludere nessuno, attraverso rapporti di prossimità, dove ci si conosce e ci si ama reciprocamente, si celebrano i sacramenti e si è mandati a tutti. Anziché costruire muri verso l’esterno e creare fratture dentro. Abbiamo bisogno di persone «che siano vicini ai più poveri e che siano circondati da giovani e che sperimentino cose nuove. Abbiamo bisogno del confronto con uomini che ardono in modo che lo spirito possa diffondersi ovunque» (C. M. Martini).

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