Confessare, anche a se stessi, i propri desideri – quelli veri – è pericoloso. Se sono realizzabili, e spesso lo sono, dichiararli ti mette di fronte alla paura di provarci. E dunque alla tua vigliaccheria. Allora preferisci non pensarci, o pensare che hai desideri impossibili, e che è da adulti non pensare alle cose impossibili (G. Carofiglio, Ragionevoli Dubbi).
E così accade che mettiamo a tacere i nostri desideri, li dimentichiamo fino a diventare rassegnati, tristi. La pratica gestione dei giorni e le agende ci impediscono di sognare, di immaginare qualcosa di ulteriore, di nuovo. E noi cristiani rimaniamo indifferenti, persino dinanzi alla Presenza del Signore tra noi, alla sua Risurrezione che dovrebbe, invece, cambiare il corso della storia. Muti, sordi e ciechi all’azione della sua Grazia: il suo agire nella storia.
Eppure, se provo a chiedere in giro, tutti desiderano qualcosa o vorrebbero attendersi una realtà migliore. Non solo i beni strettamente necessari, ma anche qualcosa di più alto. Per sé, per i propri cari, per il mondo intero. La Scrittura riassume tutto nelle spade spezzate, che diventano aratri, e nelle lance trasformate in falci (cfr. Is 2,1-5). Tutto riconducibile al desiderio innato della felicità. Tutti in attesa di qualcosa di nuovo, inedito.
Il tempo di Avvento che si apre in questa domenica ci invita innanzitutto a pensare ai nostri desideri, quelli veri, senza paura. E provando a diventare, come i bambini, capaci di sognare l’impossibile, che poi diventa la cifra dell’agire di Dio, che supera ogni nostro desiderio e ogni prevedibile attesa.
Ecco, il tempo dell’Attesa. Che il Signore torni definitivamente a mettere tutto nel suo ordine. Ma anche i giorni della Speranza, cioè della prospettiva con cui guardare la storia e il mondo. Non qualcosa di nuovo, ma una logica nuova. Non qualcosa di diverso, ma un riconoscimento di ciò che è vero e bello, e che spesso rimane nascosto dalle cataratte della rassegnazione e dell’egocentrismo. Una felicità, che non sia più tregua tra un dolore e un’altra delusione, ma pienezza.
Non dobbiamo diventare diversi, né fare cose nuove, né attendere ulteriori promesse. Oggi, in questo tempo, nella nostra vicenda quotidiana, dove e come siamo, il Signore Gesù è risposta a ogni desiderio. È annuncio di una felicità possibile. È la novità.
Come nei giorni di Noè, i giorni che precedettero il diluvio, rischiamo di essere distratti dal mangiare e bere. Le nostre abitudini e le nostre convinzioni possono confondere il nostro sguardo. E rimanendo addormentati, non ci accorgiamo di nulla: della distruzione che costruiamo e della salvezza che ci viene incontro.
In questo tempo benedetto, allora, vegliate! Questa è la prima parola che ci consegna la liturgia. State svegli, perché il Signore viene a mostrarci la realizzazione di ogni promessa, la felicità vera. Viene a indicare la strada, a suggerire in quale direzione guardare e in quale luogo cercare. Per questo è necessario rimanere zitti e ascoltare la parola del vangelo. E nello stupore riconoscerci nuovi. Trovare la felicità.
Non è necessario aspettare ancora, ma provare a guardare altrove. Più vicino di quanto crediamo. Oggi.