Né pasticceria né yogurteria

Né pasticceria né yogurteria

Mi ha fato sorridere il Papa che da Assisi richiamava l’inutilità dei cristiani “da pasticceri”. E mi ero fermato al sorriso, finché @kaspo su Twitter mi ha chiesto il senso di quella espressione. Ho risposto che dall’espressione del Papa ho intuito che i cristiani “da pasticceria” fossero quelli belli solo per stare in vetrina. Quelli dei primi posti nelle chiese, degli onori nelle piazze, delle grandi feste e delle lunghe processioni.

Quelli che vanno a messa, ma non si lasciano interrogare dal Vangelo. Quelli che nel tragitto dal sagrato a casa hanno dimenticato già tutto. Che la fede è importante, ma poi la vita è una cosa seria. Tutta un’altra cosa.

Ma i cristiani “da pasticceria” sono anche quelli che si vedono solo in alcune occasioni. Per opportunità o tradizione. Quelli che pensano che la Chiesa sia soltanto un organismo esistenziale. Che Gesù è stata tanto una bella persona ma poi la sua Parola non influisce sulla mia vita e non riguarda le mie scelte. Quelli della messa a Natale e Pasqua (oltre ai funerali), senza nessuna appartenenza alla comunità cristiana. Quelli che vanno dietro al prete bravo, simpatico e bello, come se fosse tutto un teatro e basta.

Infine ci sono i cristiani “da pasticceria” come quelli solo devoti e sdolcinati. Che sorridono a tutti, senza amare nessuno. Che vivono di rassegnazione senza assumersi alcuna responsabilità. Quelli che baciano Gesù e Maria, ma non abbracciano chi è solo.

Di questi cristiani non abbiamo bisogno, insomma. E mi permetterei di suggerire al Papa di citare anche i cristiani “da yogurteria”. Quelli acidi, astiosi e lamentosi. Quelli con le risposte sempre pronte e dalle domande assenti. Quelli che vedono nemici, invece che fratelli; problemi, invece che persone. Quelli che assumono, come criterio interpretativo, la paura, invece della speranza.

Mentre ero preso da questa riflessione tra l’acido e lo sdolcinato, interviene @lucasidis a suggerire che c’è anche il “salato”. Ed è proprio dei cristiani “come il sale” che ha bisogno il mondo. E lo aveva detto Gesù.

Allora cristiani, profeti gioiosi, come il sale. Chiamati a dare sapore e a preservare dalla corruzione il mondo. Cioè chiamati a rivelare con la propria vita, gesti e parole, il senso vero della storia e di ogni esistenza. Rendendo tutto degno di essere vissuto. Chiamati a esaltare il valore di ogni persona e la bellezza di ogni stagione della vita. Mescolati al mondo, senza perdere autenticità.

Pochi, rifiutati, ma coerenti e liberi da ogni sorta di compromesso. Discepoli del Vangelo e non dei sondaggi di opinioni. Senza la pretesa di dare risposte certe, ma capaci di suscitare domande autentiche. Disposti a perdere la propria vita, ma non il suo sapore, il suo senso pieno.

Come il sale. Che vale poco, poco visibile, così silenzioso. Eppure necessario a dare sapore alla vita e bellezza al mondo. Senza pretese.

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