Leggo di qualche malumore sul fatto che la GMG, appena conclusa a Lisbona, con l'incontro del Papa con un milione e mezzo di giovani, non abbia fatto notizia.
Il Direttore Ufficio Cei per le Comunicazioni, su "Avvenire" fa notare come «i temi spesso privilegiati siano gli scandali o quelli che favoriscono polarizzazioni e contrapposizioni, escludendo per scelta ciò che va contro i cliché». E ha ragione. Il quotidiano dei Vescovi italiani, del resto, si distingue per portare alla ribalta delle cronache temi "poco appetibili" e sempre con il desiderio di suscitare dibattito e non contrapposizioni.
Molti altri hanno denunciato l'assenza dalle prime pagine di un evento così importante per le nostre comunità ecclesiali. Tanti hanno commentato. A me piacerebbe fare tre considerazioni.
- Probabilmente i fatti che riguardano le comunità cristiane non sono così rilevanti per chi gestisce i vari organi di comunicazione. Hanno partecipato sessantacinque mila giovani italiani, su una popolazione di oltre dieci milioni, facendo un calcolo molto approssimativo. Sappiamo che la bellezza e la rilevanza di quell'incontro mondiale non sta nei numeri, ma nel vissuto dei partecipanti. Tuttavia, la mala usanza di valutare la riuscita di una iniziativa in base ai numeri non è estranea ai "nostri ambienti".
- Le Giornate mondiali dei giovani sono occasione di incontro, preghiera, riflessione e festa. Non devono diventare una competizione per far vedere quanto siamo vivi. Chi frequenta i "nostri" ambienti, sa che quell'incontro gioioso è una scomoda profezia per la Chiesa. Dove sono quei giovani quando la comunità si incontra nell'eucaristia domenicale? Quale spazio concediamo loro, nei luoghi del discernimento? Quanto peso hanno nelle decisioni? Quanto si sentono ascoltati? Quale clima troveranno nelle nostre assemblee e nei nostri incontri, tornando a casa?
- Quanto stride con la fede nel Risorto la Chiesa che "rosica"! Le lamentele "clericali" di chi, come sale e lievito, è chiamato ad abitare la realtà, invece che desiderarne un'altra. Giusto rilevare il fatto della poca attenzione, ma senza avanzare pretese e piagnistei. Nessun cronista dell'epoca è affascinato dagli eventi che fondano il cristianesimo. Sono rarissime le fonti "non cristiane" del primo secolo, che si occupano di Gesù e dei suoi discepoli. Ma gli apostoli hanno saputo usare ulteriori canali e altre modalità, affinché la più "bella notizia" raggiungesse il mondo intero. E in questo tempo noi siamo chiamati a fare altrettanto.
«Noi dobbiamo avviare processi, più che occupare spazi», insegna papa Francesco. Infatti, i Vescovi italiani scrivono: «il cammino riparte da Lisbona». Non dalle prime pagine.
E allora facciamo in modo che sia un bel cammino, capace di portare luce a chi si sente smarrito nelle tenebre. Il cammino bello di questi giovani, capaci di dare sapore, come il sale, alla realtà. Il cammino gioioso di tanti altri ancora, capaci di interpellare profeticamente la Chiesa e il mondo intero, come il lievito.
Allora, «vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre».