Questa settimana, nella mia diocesi ci sarà un’assemblea sinodale, che riguarda la vita delle nostre comunità cristiane. Mi sono chiesto: come stiamo messi noi cattolici? E il Papa che dice?
Il 17 giugno 2025, papa Leone XIV incontra i Vescovi italiani e dice loro che anche se resistiamo, stiamo un po’ ovunque e la gente ancora ci frequenta: «ciò nonostante, la Comunità cristiana di questo Paese si trova da tempo a dover affrontare nuove sfide, legate al secolarismo, a una certa disaffezione nei confronti della fede e della crisi demografica». Insomma, stiamo calando di numero e la gente comincia a non frequentarci più.
E allora che si fa?
Il Papa cita il suo predecessore, Francesco: «ci è chiesta audacia per evitare di abituarci a situazioni che tanto sono radicate da sembrare normali o insormontabili. La profezia non esige strappi, ma scelte coraggiose, che sono proprie di una vera comunità ecclesiale».
La scelta coraggiosa di «uno slancio rinnovato nell’annuncio e nella trasmissione della fede», ponendo Cristo al centro, sulla strada indicata da Evangelii gaudium, aiutando «le persone a vivere una relazione personale con Lui, per riscoprire la gioia del Vangelo. Sono le cose normali che la Chiesa dovrebbe sempre aver fatto (speriamo), ma la mia attenzione cade su «uno slancio rinnovato».
Pare evidente che non c’è solo secolarismo, disaffezione e crisi demografica, ma anche qualche problemino interno, da parte di alcune dinamiche ecclesiali che sembrano girare a vuoto; quando non è evidente la centralità di Gesù Cristo nelle nostre attività, quando si confonde la semplice aggregazione con la relazione personale con Lui, quando pare ci sia più sospetto, giudizio, malumore, divisione che gioia evangelica.
E infatti, il Papa dice che c’è bisogno di uno slancio e di una novità.
Quale slancio? E quale novità? Leone XIV cosa chiede ai Vescovi italiani?
Chiede di tornare alle fondamenta della nostra fede, poiché alle volte ci siamo persi in moralismi, liturgismi, teologismi, pastoralismi: «portare Cristo “nelle vene” dell’umanità, rinnovando e condividendo la missione apostolica: “Ciò che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi (1Gv 1,3)».
I Vescovi italiani dovrebbero aiutarci a decidere quali siano le giuste azioni da compiere e le valide modalità per portare la Buona Notizia a tutti, specialmente a chi è più lontano. A me pare che facciamo tanta fatica già a coinvolgere chi è vicino, nella vita comunitaria e nelle varie iniziative.
I Vescovi italiani dovrebbero sviluppare un’attenzione pastorale sul tema della pace, forse ricomponendo le divisioni interne e proponendo il legame necessario tra la fede e la vita, la dimensione comunitaria della fede, contro quella intimista, e la dimensione sociale della vita, contro quella individualista.
Ogni diocesi dovrebbe promuovere «percorsi di educazione alla non violenza, iniziative di mediazione nei conflitti locali, progetti di accoglienza che trasformino la paura dell’altro in opportunità di incontro». Lo stiamo già facendo? Vista la realtà di tutti quelli che dicono di essere cristiani nel nostro Paese, allora lo stiamo facendo male e siamo del tutto inefficaci. Oppure tutti quelli che si ritengono cristiani, in realtà non lo sono; e allora bisognerebbe cominciare ad avvisarli.
Ogni comunità dovrebbe diventare «una casa di pace, dove si impara a disinnescare l’ostilità attraverso il dialogo, dove si pratica la giustizia e si custodisce il perdono».
Pensando ai nostri gruppi parrocchiali, alle associazioni e ai movimenti ecclesiali, come stiamo messi?
Il Papa ha chiesto ai nostri Vescovi di guidarci, secondo queste coordinate: l’annuncio del Vangelo, la costruzione della pace, la promozione della dignità umana e il valore del dialogo.
Lo stiamo facendo? Le nostre assemblee sinodali come sono orientate rispetto a queste priorità? Sono tra i primi punti all’ordine del giorno?
Credo che sia tanto facile tirare a campare, vivacchiare, continuare a fare come si è sempre fatto per pigrizia, per paura, per ignoranza o per convinzione. Credo che si debba avere coraggio per guardare la realtà, senza fare finta che tutto vada bene. Credo che non ci si possa più nascondere dietro alle tecniche, alle modalità, alle mozioni, alle interminabili discussioni.
Gesù in circa tre anni ha fatto tutto quello che si doveva fare per salvare il mondo. Noi, impieghiamo dieci anni per decidere chi invitare, chi far parlare e chi no, se i tavoli debbano essere rotondi o quadrati, quale siano le dieci priorità, sceglierne cinque, poi votarne tre, studiarne due e deciderne una. Intanto il tempo se ne va, la società cambia, i papi muoiono, i giubilei finiscono, i sinodi si celebrano, mentre ancora resistiamo all’evidenza dei segni dei tempi, alle provocazioni dello Spirito e alle scelte coraggiose.
Conclude il Papa, rivolgendosi ai Vescovi, forse un po’ preoccupati di mettere in atto quanto è necessario: «Nessuno potrà impedirvi di stare vicino alla gente, di condividere la vita, di camminare con gli ultimi, di servire i poveri. Nessuno potrà impedirvi di annunciare il Vangelo, ed è il Vangelo che siamo invitati a portare, perché è di questo che tutti, noi per primi, abbiamo bisogno per vivere ed essere felici».
Mi piacerebbe che si rileggessero queste ultime righe, sostituendo «nessuno potrà impedirvi di» con «dovete». Secondo me il Papa lo pensava, ma ha voluto essere cortese.
Il discorso di Papa Leone XIV ai Vescovi della Conferenza episcopale italiana, 17 giugno 2025.