Domenica scorsa, proprio alla fine, Gesù ha lanciato, come un seme nel terreno della nostra settimana, una domanda inquietante, che dovrebbe averci continuamente messo in discussione:
«Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».
Riprendiamo ora questa domanda, lasciandola illuminare dalla parabola di oggi, che Gesù racconta per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti.
Test veloce: tu sei una persona giusta?
Se ti ritieni una persona giusta in famiglia, nel lavoro, nelle relazioni con gli altri, nell’aiuto dei bisognosi, nella pratica religiosa; allora, questa Parola ti riguarda tanto. Gesù sta parlando proprio a te.
Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri.
Ci sono due uomini, presi come simbolo di tutti quelli che vengono in chiesa a pregare.
Uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Ci sono quelli che hanno l’atteggiamento tipico dei farisei, che i vangeli trasformano continuamente in una caricatura, ridicola e spaventosa insieme. Abbiamo una generalizzazione, che coglie alcuni aspetti che riguardano tutti quelli che hanno l’intima presunzione di essere giusti. Riconosciamo questi aspetti dalla preghiera di questo tale:
“O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Ci sono alcuni che stanno in chiesa per dimostrare agli altri di non essere come gli altri. Quando vengono, ci tengono a precisare che loro non rubano, non uccidono, non fanno male a nessuno, sono bravi mariti o mogli o genitori o figli, dicono le preghiere e vanno a messa, aiutano gli altri quando possono.
La legge prescrive di fare un digiuno alla settimana, ma loro digiunano due volte. Come quelli che si deve fare un segno di croce quando si entra in chiesa, ma loro ne fanno uno per ogni santo che vedono. Se bisogna fare un inchino, loro si mettono in ginocchio. Se si deve stare in silenzio, loro aggiungono qualche preghiera particolare. Se ci deve essere una sorta di dialogo tra il prete e l’assemblea, loro dicono le parole dell’assemblea e pure quelle del prete. E siccome, tutti lo devono sapere che loro dicono più parole di tutti, allora strillano. E quando vengono a fare la comunione, non fanno come si deve fare, no: aggiungono parole, inchini, genuflessioni, segni di croce e ogni tanto ne esce fuori una nuova.
Qualcuno mi dirà: «ma a me lo ha insegnato un prete a fare così». Ecco, anche tra i preti ci sono quelli come i farisei. E che credete? Nessuno è immune da questo virus.
Il loro obiettivo non è stare con Dio e con gli altri fratelli e sorelle. No, loro stanno qui per sentirsi bene, per sentirsi migliori degli altri e per fare in modo che tutti se ne accorgano. E siccome, fanno tanta fatica a essere migliori degli altri, allora si arrabbiano se anche gli altri non fanno la loro stessa fatica.
Loro non hanno bisogno di Dio, perché già sono giusti per tutte le cose che fanno. Loro hanno solo bisogno che Dio convalidi il cartellino delle loro opere, dei loro valori, delle loro devozioni, delle loro convinzioni. E, infatti, quando il Vangelo si mette di traverso, cambiano subito espressione, bisbigliano tra loro, dissentono e diventano tristi e si arrabbiano.
Gesù dice che questi non tornano a casa “giustificati”, cioè questi non tornano alle cose di ogni giorno, facendo la volontà di Dio. Questi non fanno la volontà di Dio, non sono “giustificati”, cioè non sono giusti per niente.
Ma ci sono anche alcuni che lo sanno tutti che sono peccatori, come il pubblicano.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Lo sanno bene che il loro matrimonio si è spento o che non sono bravi genitori. Lo sanno che, nel lavoro, tante volte non sono del tutto onesti o non dichiarano proprio tutti i redditi. Lo sanno che non hanno buoni rapporti con i genitori o con i propri fratelli e sorelle. Lo sanno che non riescono a perdonare quell’amico o ad aiutare quel fannullone o ad accogliere quel vagabondo. E ci stanno male, se ne vergognano. Vorrebbero avere più fede, più tempo da dedicare a Dio, ma non sanno neanche da che parte cominciare. Lo sanno che non riescono a cambiare, a essere migliori, a stare all’altezza della vita.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
In chi è come il pubblicano Gesù trova la fede, perché non è venuto a riscuotere il corrispettivo delle sue buone opere, ma è venuto a dichiarare la sua impossibilità a farcela da solo, senza Dio.
E Gesù guarda chi si riconosce nel pubblicano e gli dice: «non sono lontano dal tuo cuore, desidero stare con te; davanti a me, puoi alzare gli occhi e vedere che ti sto sorridendo; e mentre riconosci i tuoi fallimenti, sappi che per me tu non sei un fallito: tu per me sei prezioso, sei amato, sei perdonato. Puoi tornare a casa “giustificato”, ce la puoi fare, puoi cominciare adesso a fare la volontà di Dio, puoi cominciare ad amare e puoi cominciare ad amarti».
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
Ed è proprio così: chi ha l'intima presunzione di essere giusto non sarà contento di questa Parola amara, mentre tutti gli altri vi troveranno grande consolazione e dolcezza.